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Seg., Nov.

1. La prima parte, trattata dal prof. Michele Sòrice, ha avuto lo scopo di rispondere alla domanda di partenza: “Che cosa è oggi la comunicazione?”. In un primo momento sono stati descritti i fenomeno teorici e pratici dei mass media con la relativa cultura di massa. Successivamente è stato trattato il sorgere e il consolidarsi del linguaggio digitale e della relativa cultura basata sull’individuo attivo nel comunicare.
Riassumendo le numerose definizioni di “comunicazione”, è stata presentata una triplice definizione di comunicazione: trasmissione, interpretazione e partecipazione dialogica.
Naturalmente ogni definizione di comunicazione si fonda su un modello del comunicare. La comunicazione come trasmissione si serve del modello dell’informazione: un autore elabora un messaggio che attraverso un mezzo invia ad un destinatario. La comunicazione come interpretazione utilizza il modello di un destinatario che comincia ad essere attivo: finita la pretesa che uno possa comunicare la stessa cosa a tutti sotto tutti i cieli; il destinatario può dare un “suo” significato al messaggio che riceve.
La comunicazione come partecipazione dialogica è resa possibile soprattutto dalle tecnologie digitali, dove il destinatario coincide con autore del messaggio perché inizia quando vuole, sceglie ciò che vuole, aggiunge ciò che vuole e termina quando gli piace.
In sintesi la risposta alla domanda “che cosa è la comunicazione?” è che i mezzi e le tecnologie di comunicazione sono solo una parte di un fenomeno complesso diventato una cultura e che resta a disposizione dell’individuo e del gruppo sociale per attuare un progetto di comunicazione che è stato deciso.
Quanto ha detto il prof. Sòrice sulla comunicazione, per molti dei presenti, è stato un richiamo di cose già note o un’informazione sintetica su cose non conosciute. La prima conclusione che dobbiamo tirare come Paolini è che dobbiamo toglierci dalla mente che la comunicazione sia solo il mezzo o il luogo del nostro apostolato quotidiano per aprirci alla convinzione che la comunicazione è molto di più anche di quello che ha detto il professore.
Per scelta e disponibilità di tempo non si è detto che la comunicazione è anche industria e quindi commercio, lavoro e risultati; non si è detto come le agenzie sociali di educazione (famiglia, scuola, Stato e Chiese, ecc) devono modificare il loro modello pedagogico con il rischio di non trovare soluzioni; non si è accennato ai problemi giuridici, ecc.
In conclusione, la comunicazione non è solo il mezzo ma è l’uso sociale che comprende la possibilità di possedere e acquistare strumenti e tecnologie, di saperle utilizzare, di avere dei produttori e di consumatori di comunicazione, con leggi di mercato, con modelli di comunicazione, con pubblici diversi e con effetti incontrallabili, ecc
La prima conversione che dobbiamo realizzare è lasciare questa illusione che il carisma paolino è attuale quando possiede l’ultima tecnologia comunicativa; già a partire dal beato Alberione, il carisma paolino è attuale quando sa valorizzare l’ultima tecnologia comunicativa in un adeguato progetto di comunicazione per evangelizzare. Tecnologie per progetto sociale di evangelizzazione, non come “sussidi”.

2. La seconda parte ha trattato del binomio “comunicazione e Chiesa” perché il nostro carisma è inserito nella Chiesa: non siamo isole nella comunità ecclesiale e il senso del quarto voto di fedeltà al Papa riguarda, in modo speciale, l’esame attento del magistero in comunicazione, sull’esempio del beato Alberione.
La storia del magistero che ha illustrato il P. José Maria La Porte ha mostrato l’abbondanza dei testi del magistero universale sulla comunicazione. Una lettura che come Paolini facciamo di tutti questi testi è vedere il cambiamento successivo che ha compiuto il magistero nel considerare la comunicazione: da armi diaboliche (nascita della stampa e sorgere dell’editoria di libri e riviste), a mezzi neutri che possono fare il bene o il male (con le invenzioni degli altri mass media), a doni di Dio  che solo la cattiveria umana può rendere negativi (Inter mirifica), a ambito della pastorale (Communio et progressio: la pastorale della comunicazione accanto alle altri ambiti di pastorale), a criterio ispiratore di tutte le attività pastorali (Ætatis novæ), a cultura inedita (Redemptoris missio), a progetto sociale (Chiesa e Internet).
Il Magistero della Chiesa oltre che confermare il nostro carisma, come ha fatto il decreto Inter mirifica, ci spinge ad essere pionieri sia nel pensare che nell’usare la comunicazione in seno alla comunità ecclesiale. Ad esempio: Benedetto XVI, ricevendo il Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali in occasione del Congresso di qualche giorno fa sull’Identità e missione delle radio cattoliche, dopo aver citato una frase programmatica della Redemptoris missio sui mass media: “Non basta, quindi, usare i mcs per diffondere il messaggio cristiano e il magistero della Chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa “nuova cultura” creata dalla comunicazione moderna” (37c), commenta: “La radio partecipa alla missione della Chiesa, ma genera anche un nuovo modo di vivere, di essere e di fare Chiesa: comporta poste in gioco ecclesiologiche e pastorali”.
Il magistero, sovente, anche in comunicazione apre delle porte e noi come Paolini dovremmo saper spalancare quelle porte con il pensiero e con le iniziative: mettere in pratica il quarto voto, la fedeltà al Papa “nell’apostolato”.
Esponendo poi la comunicazione istituzionale della Chiesa, sia al suo interno che all’esterno, il professore ci ha offerto delle riflessioni a partire da una sua concezione di Chiesa e di comunicazione. Ha mostrato esempi di una comunicazione non riuscita all’interno della Chiesa; ha dato esempi di un uso scorretto dell’informazione sulla Chiesa da parte di giornali, riviste, televisioni laici.
Questo materiale è stato usato in un Seminario che la facoltà Santa Croce ha organizzato, alla fine del maggio scorso, sulle “situazioni di crisi” della Chiesa nella comunicazione che aveva per obiettivo di formare cristiani comunicatori pronti a smascherare gli attacchi aggressivi e di chiedere il rispetto dei diritti per la Chiesa, soprattutto per il papa, la gerarchia, il clero e i laici.
Abbiamo avuto un esempio di come le scelte di comunicazione da parte del credenti si fondano su una concezione ecclesiologica. Dopo aver ascoltato l’ecclesiologia esposta dal Padre La Porte, è tempo che, come Paolini, cominciamo a formulare qualche domanda. A volta anche l’identità di un carisma si approfondisce in relazione con quella degli altri, Non a caso siamo Paolini: il nome deve essere un programma!
Nella storia della comunità ecclesiale esistono le Lettere di San Paolo, 4 Vangeli, la varietà dei Padri della Chiesa d’Oriente e di Occidente, le varie teologie e le diverse spiritualità; pertanto non ci deve stupire che esistano anche vari modi di pensare e mettere in pratica il binomio “Chiesa e comunicazione”. Occorre tolleranza, rispetto, stima e, quando si può, anche collaborazione; ma ognuno ha il suo carisma. La funzione de L’Osservatore Romano, della Radio Vaticana e del Centro Televisivo Vaticano non è la stessa di libri, riviste, radio, televisioni, siti Internet che sono di ispirazione “tradizionale” o, al lato opposto,  “progressisti” per usare queste categorie solo per intenderci. Nell’opinione pubblica della Chiesa deve esserci posto per sensibilità diverse che si manifestano nella varietà di carismi suscitati dall’unico Spirito per il bene di tutti.
Ci sono modi diversi di “annunciare Cristo” nella comunicazione. Adesso dobbiamo, come Paolini, chiederci quale è la nostra scelta, la nostra identità, il nostro “colore”, direbbe il beato Alberione nel valorizzare la comunicazione per il Vangelo.
Quali sono le caratteristiche “paoline” della nostra editoria multimediale mondiale: come definiamo la comunicazione? Quale modello usiamo nella nostra comunicazione apostolica? Quale idea di Chiesa viviamo e proponiamo: ricordiamoci che siamo figli di San Paolo che ha avuto l’audacia di aprire il cristianesimo ai pagani uscendo dal giudeo-cristianesimo e difendendo il “suo Vangelo” a Gerusalemme e ad Antiochia. Quale idea dei destinatari: “Mi sono fato tutto a tutti” dice San Paolo. Quale spiritualità missionaria ci anima: “Per me vivere è Cristo” e “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”.
Il Seminario su San Paolo ci permetterà di attualizzare il carisma paolino nel terzo millennio a partire dalla spiritualità; quello che stiamo vivendo attua la medesima creatività a partire dalla missione nella comunicazione.

3. Don Alberione scrive, nel 1933, Apostolato stampa che farà rieditare successivamente integrando il cinema, la radio e la televisione. Con questo Seminario siamo chiamati a contribuire ad un’edizione attualizzata di quel testo fondamentale perché il Paolino deve essere apostolo per la stampa, per i mass medi e per la tecnologia e la cultura digitale.
Il raduno dei Coordinatori generali della formazione, che avverrà nei prossimi mesi, darà anche lui il suo contributo alla revisione della Ratio formationis.  Come vedete, sono tutti gli elementi del carisma paolino in movimento in questo momento storico della Congregazione; stiamo camminando, ma deve essere un movimento ampio, di molti e non limitarsi ad una minoranza impaziente.
Poiché la comunicazione non è solo tecnologia ma cultura diffusa, dobbiamo chiederci se cambiando la comunicazione non si pongono problemi anche per gli altri elementi della vita paolina. Per usare l’immagine delle quattro ruote del carro, se cambia una, anche le altre ne subiscono conseguenze, positive o negative.
In Apostolato stampa, Don Alberione presenta la Santa Messa, la meditazione e la visita dell’apostolo della stampa. Quali elementi restano immutati e quali cambiano quando sostituiamo la “stampa”, con la “tecnologia e la cultura digitale?”. Nello stesso volume Don Alberione parla anche della formazione e delle altre componenti della vita paolina in relazione alla stampa (redazione – produzione – diffusione – Sacra Scrittura -  Maria, ecc). Che cosa, anche nell’attualizzazione, resta immutato nella formazione, nella realizzazione dell’apostolato, nella vita comunitaria, nei voti religiosi con i mass media e oggi con il digitale?
La nostra Congregazione ha bisogno di un cambiamento di massa o di aggiungere una nuova sensibilità? E’ realista pensare ad una rivoluzione generale o si deve scegliere un’evoluzione specifica?
Se siamo convinti che il cambiamento istantaneo e di massa non sia realistico, allora dobbiamo scegliere che il futuro  della Congregazione sia gestire una diversità che converge in unità: permettere a generazioni diverse di vivere bene il loro apostolato e la loro sintesi di spiritualità e missione. Con diversità di generazioni e con una comunicazione che ha sviluppato accanto al linguaggio analogico il linguaggio digitale, è più prudente pensare di fare unità coordinando le diversità piuttosto che immaginare un salto qualitativo di tutti allo stesso tempo